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Oxonii, E Theatro Sheldoniano, 1716. In-4° (23 cm x 14 cm). Pp. (20), 479, (12), 1 c.b. Sontuosa legatura in pieno marocchino blu petrolio, piatti incorniciatI da un raffinato motivo a "dentelles" dorato sia a fuoco che a secco, "dentelles" che sono ripetute ai contropiatti, autore e titolo sul dorso riccamente ornato da fregi in oro. Tagli dorati. Testo su due colonne. Carattere greco e latino. Leggerissimo ed insignificante foxing marginale su poche carte, peraltro esemplare in ottimo stato di conservazione.
Prima ed unica edizione di questa importante traduzione latina con commento all' Etica aristotelica. L' '"Etica Nicomachea" pone, per la prima volta in modo sistematico e organico, i problemi fondamentali della riflessione morale di ogni tempo: il bene in generale e il bene per l'uomo, la felicità, la libertà, la virtù, la legge morale, il dovere, il fine ultimo. Aristotele riprende alcuni concetti tipicamente ellenici e li colloca in una visione di grande equilibrio e di ricca umanità: alla felicità dell'uomo, cioè alla sua piena e totale realizzazione contribuiscono in vario modo e in diversa misura anche i beni esteriori e quelli del corpo. Ma la vera felicità consiste nel possesso della virtù, e raggiunge il suo culmine nella contemplazione, cioè nell'attività pura del pensiero che ha per oggetto il divino, l'eterno. Suddivisa in dieci libri, raccoglie la trattazione più compiuta dell' etica aristotelica. L' indagine deve chiarire quale sia il fine della vita dell' uomo e quali i mezzi mediante i quali ottenerlo. Essendo tale fine il bene, bisogna stabilire in quale modo sia possibile conseguirlo; la scienza che consente di raggiungere il bene e il giusto è la politica, la quale, rispetto alle altre scienze pratiche riguardanti la comunità sociale, ha un ruolo architettonico, ossia ne determina i fini in vista di un bene più perfetto, quello della città. Essendo i beni molteplici e legati ai diversi generi di vita, è necessario stabilire come raggiungere un equilibrio tra fini particolari e bene, e come conseguire la felicità; quest' ultima consiste, per Aristotele, nell' attività conforme alla virtù (lib. 1°). Le virtù sono di due tipi: etiche, ossia relative alla prassi e concernenti la parte appetitiva dell anima, e dianoetiche, ossia relative all intelletto, e nell esercizio delle quali la natura dell' uomo si realizza pienamente. Il criterio che regola le virtù etiche è la medietà, il «giusto mezzo» fra eccesso e difetto, mentre le condizioni cui deve sottostare l azione virtuosa sono: la sufficiente conoscenza della situazione concreta in cui si agisce; la scelta deliberata; la scelta del fine condotta in base a una disposizione stabile nei confronti della virtù (lib. 2°), Aristotele può parlare della felicità considerandola come raggiungimento del fine proprio dell' anima razionale, il conoscere, al quale si accompagna un piacere che consiste nell esercizio non ostacolato della facoltà. Essa è un' attività di contemplazione individuale e distaccata fine a sé stessa che rende quasi simili agli dei: «se […] in confronto alla natura dell uomo l' intelletto è qualcosa di divino, anche la vita conforme a esso sarà divina in confronto a quella umana» (1177 b). Vi è, però, «al secondo posto», una felicità inerente alla vita attiva; essa è conforme all' esercizio delle virtù etiche e trova la sua espressione più completa nella politica.