#LOREM IPSUM#
Una passione tramandata di generazione in generazione.
€250.00 (In Stock)
Roma, Edizioni di "Circoli", 1937. In-12° (19,5 m x 13 cm). Pp. 65, (5), 1 c.b. Brossura editoriale cartonata a stampa. Fisiologico foxing sparso dovuto al tipo di carta, peraltro esemplare ancora intonso ed in barbe, in più che buono stato di conservazione generale.
Prima edizione a tiratura limitata di 300 esemplari numerati, il nostro 62/300, a cura di Raffaello Prati, di questa celebre raccolta lirica rilkiana di 55 sonetti composti in "un innominato turbine" nel corso di tre settimane, nel febbraio del 1922, come "monumento funebre" a una fanciulla, Wera Ouckama-Knoop, morta di leucemia appena diciannovenne. La raccolta venne definita da Paul Valéry "il monologo infinito di una coscienza isolata, cui nulla distrae da se stessa e dal senso d'essere sola nel mondo". L' opera riprende le tematiche delle Elegie duinesi, concluse insieme ai Sonetti ma iniziate un decennio prima. "Rilke, già malato di leucemia, vi trasmette la visione della propria fine imminente e sceglie Orfeo, il poeta mitico che per amore intraprese la discesa agli inferi, che suonava talmente bene da attirare e lasciare attoniti gli animali, e che finì poi dilaniato dalle Menadi". (Da Arthenal). Rilke risponde qui alla caducità, alla morte come dato ineluttabile dell'esistenza con un'accettazione totale dell'esistenza che richiama Nietzsche. ‟Cosa può fare ancora, dopo di Voi, un poeta? Un maestro (Goethe, per esempio) lo si può superare, ma superare Voi – significa (significherebbe) oltrepassare la Poesia.” Così scriveva Marina Cvetaeva a Rilke, identificando in lui la poesia stessa, il poeta assoluto e insuperabile della nostra epoca. Eppure questa poesia altissima ha essa stessa un vertice: I sonetti a Orfeo. I sonetti, come le Elegie dello stesso Rilke, come i grandi testi di Eliot e di Montale, non sono un mero momento epifanico. Sono un vero e proprio racconto: tessono la trama degli eventi, dell'intreccio apparentemente incomprensibile delle cose, proponendo un'immagine visibile di quel logos, di quella ragione dei contrari e della differenza, che ci presenta il mondo nella sua ultima verità. Infatti Orfeo, il dio del canto, è il dio che canta questo nostro mondo: il mutare delle cose e degli uomini che abitano presso di esse. ‟Sii in questa notte della dismisura / magica forza all'incrocio dei tuoi sensi, / senso del loro incontro strano. / E se terrestrità ti ha dimenticato, / di' alla terra immota: io scorro. / Alla rapida acqua parla: io sono.”